Crociera in Croazia con un Viko 550 – Di Stefano Madella

settembre 2, 2015 | By Mistro
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23 Iz Veli

23 Iz Veli
Immagine 24 di 24

Imbarcazione: Viko 550. Navikom, Polonia
Anno di costruzione: 2005
Caratteristiche: 6X2,50 Mt, 800 kg, deriva mobile, sloop randa semisteccata e fiocco avvolgibile con gennaker e code0 su frullone
Trasporto: Opel Meriva, carrello Reggiana Rimorchi 1200, port. utile 900 kg
Km percorsi: 2100
Miglia percorse: 300
Equipaggio: 4 due adulti, una diciottenne e una tredicenne
Luogo crociera: Incoronate, Croazia – Fra Otok Molat a nord e Kornat a sud
Periodo: Agosto 2015

E anche quest’anno è andata. Ammetto che non avevo molta voglia, un anno estremamente stressante per il pochissimo lavoro, la barca e il carrello con qualche acciacco e i pochi giorni a disposizione non erano di stimolo all’evento.

Nonostante ciò, più per l’insistenza della famiglia che altro, a metà luglio inizio a preparare la barca che dopo due anni di lago in modalità crociera giornaliera va riattrezzata completamente e controllata. Bisogna selezionare in magazzino ciò che va riportato a bordo e controllare tutta la ferramenta che dopo 10 anni e qualche migliaio di miglia inizia a segnare il tempo. Non avendo un cantiere faccio tutto in acqua, solo all’ultimo verificherò la carena e l’albero e decideremo, pronti a “commutare” in modalità camper se necessario.

Il carrello anche lui fermo da due anni si “autorevisiona” con il traino di una barca di un amico. Freno bloccato e fusione di un cuscinetto. Grande fortuna, se fossi partito così sarebbe stato un disastro mentre riusciamo a ripararlo in tempo.

Ai primi di agosto asportiamo la barca dal suo letto di alghe, il lago è molto basso e la flora prolifera portando molti sedimento ad attaccarsi alla carena. Immersione del carrello e siamo fuori dall’acqua, pulizia carena con idropulitrice, verifica antivegetativa e perno deriva; entrambi in buono stato. Procediamo.

Nel piazzale passiamo al controllo del sartiame e, disalberando, di tutto ciò che non è raggiungibile normalmente. Spray a manetta, teflon sulle canaline e svitol a ciò che gira e che porta corrente. Anche qui tutto incredibilmente in ottimo stato. Solo la delfiniera vorrebbe una grattata e una riverniciata, ma poca roba decidiamo di procrastinare; la connessione del pilota automatico non funziona, ma scopriamo velocemente la fonte del problema.

Arriva così il 7 di agosto, vigilia della partenza, salgo al lago cinghio la barca e parto per il paesello dove caricheremo le ultime cose, soprattutto generi alimentari e vestiario. Ciò che non va in auto, il meno possibile, lo carico in barca. Negli anni ho capito che il connubio Viko/Meriva è lievemente al limite ed è imperativo mantenere l’auto più pesante possibile. Così cuscini e sacchi a pelo vanno in barca, ma le ancore sono nel baule.

8 agosto si parte! Le ansie sono finite, nuove ansie affiorano nella mente, inizio a pensare agli 800 km, a dove ho messo il cric, la ruota di scorta è gonfia? Le luci vanno? No non vanno. A mezzogiorno con l’aiuto di mio padre sono ancora a trafficare con cavi e lampadine, il carrello non ne vuol sapere di farmi partire. Alla fine verso le 2 troviamo il problema, tutto funziona e possiamo partire. ETA 4 di mattina, alla faccia delle partenze intelligenti.

Tanto intelligenti che riusciamo ad arrivare al raccordo di Mestre alle 6 di sera giusto per incanalarci nel traffico dei veneziani che tornano a casa dal lavoro. Ormai si va avanti, a passo d’uomo per un lungo tratto, ma poco cambia tanto noi si va comunque ad ottanta all’ora.
Alle 22 siamo finalmente in frontiera che passiamo agilmente senza code per immetterci nelle ottime autostrade Croate, a parte le salite che talvolta mi trovo a fare in seconda, l’asfalto e la qualità in genere non è minimamente paragonabile. Con la famiglia ormai dormiente procedo fino a che, o meglio poco prima, di crollare io stesso fermandomi per un pisolino prolungato, il bello di una carrellabile salto in barca e mi faccio il letto, luci… Batteria a zero, voltmetro a 11.4! Troppo stanco perfino per preoccuparmene mi butto a dormire.

Sono le cinque, albeggia, una luce lattiginosa pervade la cabina, fa un freddo cane. Guardo il voltmetro che mi conferma non essere stata un’allucinazione da stanchezza e il termometro anche lui implacabile mi indica un’improbabile temperatura di 13° C, alle volte dimentico di essere ben sopra i mille metri e in ambiente balcanico aperto alle correnti fredde del nord.
Mi alzo, veloce utilizzo del bagnetto, niente acqua ovviamente perché la pompa non funziona e scendo. La famiglia è sveglia avendomi sentito muovere, tutte le vibrazioni e gli scossoni si riflettono sul gancio, impossibile scendere in sordina. Anche loro passaggio ai bagni dell’autogrill, pulitissimi come sempre, e si parte.
Mancano circa 150 km dovremmo essere, questa volta intelligentemente, al porto poco dopo le 7, con una sosta per colazione alle 8 perfetti per Calimero.

Chiamo Dalibor, nostro contatto all’Havana che ci assiste sin dalla prenotazione coordinando, gru, ormeggio, campeggio, deposito auto e carrello e al nostro arrivo è già tutto pronto. C’è sempre un momento di emozione quando termino la retro di fianco al camion gru, spendo il motore e scendo guardando la banchina e il mare. È un momento strano, ancora in pantaloni lunghi e felpa ti guardi attorno in un mondo alieno di gente in costume e infradito.
Ma la gru non aspetta! Dopo di me deve andare a Drage. Anzi viene apposta per me.
Pressione 120/170, battiti 100, l’organismo si prepara. Anche dopo 10 anni e un centinaio di movimento non mi ci abituerò mai. Per fortuna che c’è Dalibor al suo quinto varo di Vikolocorto, mia voce croata, posiziona le fasce nei punti ben segnati da frecce adesive e fa cenno di alzare. La barca si solleva dritta e tranquilla. 20 cm dal carrello e con un sussulto la fascia posteriore cede! Il cuore mi si ferma, lo scafo arriva a sfiorare i rulli a poppa il carrello ha un fremito pronto ad assorbire l’impatto che comporterà sicuramente lo sfondamento della carena. Si ferma. Era solo la gomma del bottazzo che spostandosi ha fatto scendere la barca. Ci fermiamo un istante, tutti e tre prendiamo fiato. Anche la gru pare risalga di giri dopo aver perso qualche colpo.
Vikolocorto si appoggia finalmente in acqua salata.

Il sole inizia a scaldare. La barca galleggia, la sposto tonneggiandola al suo ormeggio, e prima di alberarla mi cambio per un controllo alla trappa, non si sa mai. Tutto a posto; quest’anno perfino trappa nuova.

Prepariamo l’albero che sta volta va su senza problemi e mentre la famiglia si occupa di preparare la barca: tre donne converrete che è meglio non metterci becco, io inizio la mia vacanza! Con la prima Carlovasko.

Sono d’obbligo alcune premesse.
La scelta del luogo nasce dal fatto che qui sembra di essere al lago. La zona delle Incoronate ha un migliaio di isole, credo che la Croazia ne conti in totale 1320, fra loro mai più di 5 miglia di acque libere. Perfetto per una barca di 550 cm che vuole ospitare in sicurezza una famiglia, ma che non offre grande marinità.

Perché tutto sto casino della gru “dei poveri”, perché non andare in un porto e in Croazia ce ne sono magnificamente attrezzati? Il primo anno in barca siamo andati effettivamente a Biograd, al mega porto superattrezzato, figliassimo e leccatissimo. I costi per di più non erano nemmeno eccessivi, 400 euro per 25 giorni compreso: varo alaggio, park carrello e auto e posto barca. Solo che noi siamo piccoli, ma abbiamo le necessità dei grandi, in mezzo ai gommoni a 1 km dai servizi ci risulta scomodo, infine il porto è da considerarsi solo per emergenza e li quando rientravamo nemmeno si ricordavano di noi.

Drage, frazione di Pakostane, è stata scoperta per caso, l’Autokamp Maslina è l’unico della zona ad avere un sito internet, nel 2013 mandammo una mail con le nostre necessità a questo signore che ci rispose che aveva uno o due posti barca per le nostre dimensioni (togliendo il suo gozzo), ma gli ormeggi erano gratuiti e non sapeva cosa farci pagare. Ci accordammo per pagare il campeggio come se occupassimo una piazzola, insomma per lui il cliente perfetto. Dopo tre anni non si può dire sia nata un’amicizia, ma quantomeno fra noi e lui c’è molta simpatia.

Drage è un paesino di 20 case, l’Autokamp Maslina uno dei 9 campeggi della baia poco sud del paese. Un posto talmente anarchico da risultare difficile capire dove finisce un campeggio e ne comincia un altro, arrivi, piazzi la tenda e dopo capisci a chi pagherai. Il “nostro” è, altra casualità, l’unico che non affaccia sul mare, ma a noi non importa, anzi così costa pure meno. Infatti l’ultima discriminante è il costo: 80 euro la gru e 10 euro al giorno l’ormeggio.

Gli ormeggi, cosa curiosa per un italiano ma la normalità in Croazia, sono pontili praticamente singoli, ammassi di sassi protesi dalla costa rocciosa fino a che il fondale non è soddisfacente e negli anni allungati proporzionalmente all’aumento delle dimensioni della barca posseduta. Un perfetto metro del benessere.
Se poi il pontile diventa troppo grande capita che si unisca a quello del vicino a creare una piazzola dove stendere qualche asciugamano, o, ma è un caso limite, piazzare una gru.

Così nasce questo pontile la cui radice è una gettata di cemento per poi diventare un ammasso di pietre e terminare con due blocchi di cemento armato con bitte in acciaio inox. Fondo circa 150 cm in bassa marea. Corpi morti quando basta, di solito ne scelgo due o tre li unisco con una catena e a questa aggancio la trappa. Si perché anche questa parte è affidata a chi si ormeggia, anche se quest’anno come detto ho trovato già tutto fatto.

Pronti quindi. Spesa fatta, barca pronta, motore in moto si esce!

Abbiamo autonomia per due o tre giorni, il vento è ottimo, maestralino sui 10 nodi. Issiamo la randa, apriamo il fiocco e via verso NE di bolina con l’idea di andare subito alla nostra cara Zakplovica per poi risalire la costa di Pasman.

Zacplovika

Sulla costa SE di Pasman praticamente invisibile da fuori si apre un’insenatura quasi circolare. 150 metri di diametro, fondo cattivo tenitore tranne in due punti, 4 boe e una konoba con un ponticello sgangherato.
In questi 17.000 mq ci possono stare anche 100 barche, dal gommoncino al megayacht. Un vero assembramento, ma a noi piace, arrivando nel tardo pomeriggio e resistendo fino al tramonto i più piccoli lasciano posto tornando a casa e io posso dar fondo, spesso a mano, dove preferisco e tonneggiarmi in un angolino riparato occupandolo per i giorni successivi.
Capita poi che alla fine del secondo giorno ci si sposti pure al pontile della konoba, così da potervi rimanere per la notte e la mattina lasciare l’ormeggio semplicemente con una spinta.

Due giorni dicevamo. Di più Vikolocorto non ci concede, abbiamo provato varie soluzioni e si potrebbe far di più, ma la mancanza di un frigorifero, quest’anno anche di una batteria che alla fine non ho cambiato e di spazio ci costringe a tornare alla civiltà entro il terzo giorno salvo vivere di pane raffermo e scatolette.

Così al mattino del terzo giorno lascio l’ormeggio con la famiglia ancora dormiente esco dalla baia e con la leggera brezza del mattino srotolo il gennaker circumnavigando la costa sud di Pasman diretto ad un’altra baia sulla costa SO, al cui fondo è presente un pontiletto in pietra su un metro di fondo. Fondo di sabbia bianca. Qui pensiamo di fare sosta pranzo per poi rientrare in un porto e fare rifornimento.

Vi arrivo verso le 11 dopo aver tirato ostinatamente bordi prima con il gennaker poi con randa e code0 per finire con il solito maestrale a risalire con il fiocco. Il “mio” pontile è occupato. Dall’unica barca che potrebbe ormeggiarvi, un Viko, mi avvicino di prua nello spazio rimanente dando fondo molto presto all’ancora da poppa, qui il fondo è cattivo tenitore, e mi fermo con una cima a terra a due metri dalla sua poppa. il posto è scomodo, ma la curiosità di un gemello è troppo alta.

La barca batte bandiera austriaca, a bordo una coppia con un bambino e due anziani, mi avvicino e in inglese saluto, il ragazzo mi risponde cortese e dopo pochi istanti mi chiede a mezza bocca “ma a te sta barca piace?”. Con queste premesse saluto cortesemente e mi allontano. Devo metter su l’acqua per la pasta. Loro se ne vanno mezz’ora più tardi con un bel motore da 8hp con comandi rinviati in pozzetto senza nemmeno tirar giù il timone.

È tardo pomeriggio quando lasciamo l’ormeggio tonneggiando sull’ancora e, quando a picco, aprendo il fiocco con il vento in poppa. In famiglia adoriamo queste partenze d’altri tempi. Solo fiocco con il maestrale ormai ben sopra i 15 nodi che ci spinge verso il nostro porticciolo.

11 agosto. Dopo la spesa, una serata tranquilla al nostro porticciolo e la prima cena al cerenghito sulla spiaggia: gestione anglo/croata, papà balcanico, di Zagabria, e mamma londinese con una serie di parenti che gravitano attorno al gabbiotto/roulotte, tanti da non capire chi è cliente e chi oste, ma sopratutto da mettere in difficoltà quando ci si rivolge in inglese si viene di volta in volta non compresi o si ottengono risposte incomprensibili per la nostra poca padronanza della lingue.
Tanté la pivo da mezzo litro costa 2 euro e i cevapji con le patatine 5 e a noi va bene così. La mancanza di corrente, l’intera baia ne è priva, aggiunge un po’ di pathos all’ambiente e la sera nasconde pure parecchie cose che mangiando non vorresti vedere.

La vista mentre si mangia poi… non ha prezzo.

A nanna presto comunque, la mattina si parte. Meteo perfetto: 3 giorni di vento debole o meridionale per poi girare a nord sempre non eccessivo per noi. Obiettivo estremo nord, estremo per noi, dell’isola di Dugi. Dumboka descritta da un Marinaio di Terraferma.
Prima tappa Telascika. Navighiamo a motore alle prime luci dell’alba, non siamo talebani il motore è parte della nostra vacanza, un infido johnson compagno di tante avventure, comprato nuovo, ma ormai con parecchi acciacchi, non c’è verso di convincerlo a partire prima del settimo/decimo strappo, ostinato allo stesso modo non gradisce rimanere acceso al minimo se caldo; fonte di tante ansie quando si tratta di rifare un ormeggio perché l’ancora ara o perché un croato, anche se sempre gentilmente, ti ha fatto notare che quel pontile abbandonato proprio abbandonato non è.

Dumboka

Il motore dicevamo ci spinge al minimo a circa tre nodi e quella è la nostra velocità preferita, ci si gode il paesaggio, si può anche farsi trascinare agganciati alla scaletta, ma soprattutto si riducono i consumi a mezzo litro per ora molto utile quando la riserva totale è di 15 litri. Procediamo così per la prima tratta fino all’estremo nord di Zut dove ci fermiamo per un bagnetto e il pranzo non volendo entrare nel parco prima che i barconi delle gite se ne siano andati e speranzosi di un po’ di vento nel pomeriggio.

La baia dove ci fermiamo dovrebbe chiamarsi Druvine, sul portolano 777 è indicata come “bassi fondali con presenza di scogli affioranti”, perfetta quindi per noi. Un metro di acqua chiarissima calma e deserta, non fosse che si tratta di un lastrone di calcare dove l’ancora non ha alcuna possibilità di far presa ci metterei le tende. Nota stonata è la Konoba superfiga che sta crescendo di anno in anno poco più a ovest, minaccia costante in ogni località che visito a distanza di anni. Quest’anno ci sono almeno 4 megayacht ormeggiati, il primo anno usai quello stesso pontile per una sosta notturna, la casa deserta e semiabbandonata. Per lo stesso motivo quando faccio amicizia con i croati e si parla di europa non manco mai di esortarli a non fare la nostra stessa cavolata.

Dopo l’intermezzo socio/politico si è fatto pomeriggio, fuori si vede un bel venticello increspare l’acqua è giunto il momento di ripartire. Su la randa e issata l’ancora scarrocciamo verso il mare “aperto” in attesa di poter far scendere le appendici in sicurezza svolgere il gennaker e ripartire verso nord.

Zman

Si nord, perché il vento è troppo bello per rinunciarvi entrando a Telascika, tanto vale fare quelle 10/15 miglia in più e arrivare a Zman ridente paesino con un bel molo di sopraflutto che può accogliere 5/6 scafi con trappe, le due più interne su un metro d’acqua sono invariabilmente libere. Vi arriviamo nel tardo pomeriggio, da fuori si vede spuntare un albero piccolo, malnato qualcuno ha avuto la nostra stessa idea. il porto ha anche un grosso mandracchio dove stazionano le barche dei locali un buco lo trovo e così entriamo. Appena dentro il molo appare pieno come pensavo, ma sulla testa c’è spazio per uno un po’ di traverso fra un first 36 e il grosso peschereccio che qui staziona più o meno fisso, mentre accosto per vedere dove dare ancora il vicino scende e mi solleva un’ultima trappa che non pensavo potesse esserci. Fantastico in pochi istanti siamo ormeggiati e pronti per il bagno.
Zman, infatti, oltre ad un bel porticciolo ha una spiaggia, circa tre metri di ghiaia riportata, ma perfetta per scendere in acqua senza scarpette, ha anche un ristorante (mediocre) e un bar sul mare (fantastico). Ci sono anche due casettine con il cartello vendesi, ma ci passo sempre davanti fingendo indifferenza quasi non notandole: una delle due è su due piani di un color pesca con persiane verdi, sotto una scaletta scende quasi in acqua a fianco un porticato con un bel forno per la pizza e una griglia enorme, sopra almeno due camere da letto e un enorme terrazzo, ma come detto non l’ho quasi notata.

Mentre le ragazze fanno il bagno io mi dedico ad una birra ghiacciata, primo sport preferito il secondo è ascoltare gli anziani cercando di capire ciò che dicono, ora sono al 3% e non mi sembra male. Il ristorante dicevamo è mediocre, ma è anche l’unico e, come capita spesso, costa meno di una spesa media al supermercato. Quindi ci andiamo ed essendo la terza volta da quando veniamo in Croazia prendiamo, ovviamente, la pizza: mal lievitata con una montagna di parmigiano, salatissima, passo la cena a guardare con cupidigia la cotoletta con le patatine di mia figlia mi consolo bevendomi tre medie.

Il programma, dicevamo, è intenso e ci spinge a nord ancora per una trentina di miglia. Sembrano poche ma a vela con un 550 possono diventare anche tre giorni. Quindi? Rimaniamo qui un altro giorno.
Zman non offre molto, ma è tranquilla e la spiaggietta perfetta per le mie figlie. L’ho già detto che c’è un bel bar sul mare? Anche che è all’ombra e fresco?

Il terzo giorno però si parte. Usciamo e srotoliamo il gennaker, 4/5 nodi da SE ci spingono a nord tranquillamente a più di tre nodi e con il pilota posso anche fare il bagno, anche se questo chissà perché mette ansia al mio equipaggio.
Risaliamo la costa esplorando. Entriamo a Uvala Luka, che dovrebbe avere un porto accogliente e in effetti c’è, ma ingolfato di Yottoni. Verso nord accostiamo a Rava, isola che ci è stata tanto raccomandata da molti amici. All’inizio sembra molto scoscesa e inaccessibile a parte un paio di baie con annessa Konoba non c’è molto fino a oltre la metà dove troviamo un’insenatura molto ben riparata dal primo al terzo, aperta solo al quarto, di cui il 777 non fa menzione, mentre invece ci sono una trentina di gavitelli, ad uno di questi ci agganciamo per una sosta bagno.

E già che ci siamo dedichiamo qualche minuto alla barca un po’ sporca dopo due giorni di saliscendi dal pontile.

Pomeriggio il vento rimane, via ancora con randa e gennaker verso Mala Rava, paese a nord dell’isola anche questo caldamente consigliato. Il posto è incantevole, un lungo molo in cemento con il “giusto” fondo per noi, alcune boe, nessun ristorante, negozio, attrattiva lo rendono semideserto. Purtroppo è veramente troppo presto per fermarsi e decidiamo di proseguire segnandolo sulla carta per il futuro.

Prua a Nord, obiettivo Brbinj, insenatura sulla costa di Dugi con “fondo buon tenitore” e un piccolo mandracchio alla radice del molo traghetti “adatto a piccole imbarcazioni”. La baia è incantevole, l’ingresso ripartissimo da un’isola ovale che passiamo orzando via via di bolina sempre più stretta divertendoci molto. Solo che è pieno, alla fonda decine di scafi e il mandracchio lo utilizzerei in caso di tempo veramente osceno, ma non mi va di fermarmi di fianco alle auto che attendono di imbarcarsi se proprio non sono disperato. Poco male sono solo le 12, poggiamo e via ancora a nord. Solo per tre miglia fino a Dragove dove c’è una delle prime mete prefissate, uno dei bunker dell’era titina.

Un buco nella montagna, niente di più, ma rappresentativo della follia e della paranoia umana. Al suo interno un incongruo mezzo da sbarco per il quale certo non è dedicato il riparo ci mostra però un pezzo di storia della produzione sovietica postbellica.
Lo visitiamo accostando ad un molo nelle vicinanze, asservito ad una pensione semiabbandonata, non ci sono bitte e gli anelli di ferro sono stati palesemente scavati via, se per impedire l’ormeggio o per destinarli ad altro non so, ma io ho cime lunghe e le stendo per agganciarmi ad un argano a 30 metri da un lato e ad uno scafo abbandonato dall’altro. Qui pranziamo, ma l’intenzione è rimanere anche per la notte. Da domani inizia il rientro, previsto il salto del vento da nord.
Fare i conti con le paranoie di una donna è difficile. Mentre siamo li a sguazzare arriva una coppia di tedeschi (?) da un balcone della spettrale pensione si affaccia una persona, infine arriva un pescatore piuttosto anziano, guarda con sospetto le mie cime che attraversano tutta la larga spianata di cemento e poi si siede su un bittone con la canna in mano. Cinzia mi guarda preoccupata, non vuole stare li. Come detto inutile discutere, si va a Dumboka, un miglio a nord altro bunker altro porticciolo questa volta, si legge, deserto, ma esposto a nord e qui ho fatto la prima delle due cavolate della vacanza.

Togliamo il tendalino e svolgendo il fiocco ci stacchiamo dal pontile, passando fra le isolette che coronano l’insenatura mettiamo prua a nord per entrare mezz’ora dopo a Dumboka. Il porto è strano, c’è un grosso mandracchio in fondo con una decina di barche e un lungo molo a ovest su cui si affacciano numerose case, palesemente affittate a turisti, il lato est è un lungo cordolo di cemento appena affiorante dall’acqua. Non si capisce, ma sembra un porto in costruzione o abbandonato, una delle due comunque e comunque noi accostiamo entrando a destra con una certa difficoltà perché il vento è già da NO e c’è un po’ di onda. Sposto tutti i parabordi sul alto sinistro entro spinto dal vento e mi giro per mettere la prua alle onde, mia figlia grande salta a terra da prua aggancia una bitta e la barca si gira accostando un po’ rudemente al pontile, i villeggianti ci guardano con indifferenza, segno che possiamo rimanere.
Aggiungo qualche cima con ammortizzatore e bagnetto.
All’imbrunire il vento sembra calare, mi tranquillizzo e dopo la doccia preparo una pastasciutta con la nostra poco usata, ma fidata, pentola a pressione.

Alle 9 le ragazze sono sotto coperta a guardare harry potter io in pozzetto che leggo quando arriva la botta di maestrale, pochi minuti e le cime sono tese i parabordi raschiando il cemento e vikolocorto come suo solito inizia a saltare come un toro meccanico cavalcato da un professionista. Mi guardo in giro, ma c’è poco da fare, penso di portare un’ancora fuori per staccarmi da molto, oppure tonneggiarmi nel mandracchio anche se ci sono solo 30 cm di fondo, ma anche li dentro le barche ballano parecchio. Non rimane che aggiungere una cima di quelle grosse all’ormeggio, portare tutti i parabordi a sinistra e… scendere per fare due passi. Alle 11 sono seduto sul pontile con i piedi sulla falchetta, i miei polyform appena comprati consumati dal cemento grezzo del pontile e le figlie, stronzette, che se la dormono bellamente in cuccetta.
Non può durare mi dico, e in effetti a mezzanotte il vento si calma e, maledicendomi, posso andare anche io a nanna.

Sveglia non prestissimo. Sono un po’ stanco per la nottata.
Vento zero, finalmente, posso dare motore e puntare verso est e poi a sud. L’obiettivo non è ben definito, abbiamo un giorno di calma e qualche nuvola, quindi più fresco, possiamo gironzolare ancora un po’ a nord prima di iniziare il rientro. Il portolano che abbiamo scritto a più mani quest’inverno porta la mia curiosità a Sestrunj, a Rivanj e alla punta estrema di Ugljan, calette, ridossi, pontili, mandracchi, tutti descritti magnificamente e tutti interessanti. Posso visitarne due e decido per i due più lontani passando vicino ai primi per un’occhiata. Prua ESE, GPS sul primo way point e pilota. Così dopo un’oretta siamo in mare aperto, nel punto cioè più lontano dalla costa che troveremo nella nostra vacanza, e da ovest arriva un tuono, no è un motoscafo, si ma i motoscafi non fanno anche i lampi.

Se c’è una cosa che mi spaventa più di qualsiasi cosa sono i temporali, non ne ho preso molti, avendoli evitati in ogni modo, ma uno l’ho preso in laguna e vedere le saette che arrivavano chiedendosi se il mio albero era più o meno gustoso delle briccole ha lasciato il segno e qui di briccole non ce ne sono.

Apro la carta e cerco l’ormeggio meglio ridossato e più sottovento possibile. Veli Iz non è vicinissimo, ma la costa di Iz lo è e una volta la dietro posso eventualmente spiaggiare in una insenatura che sembra avere il culmine di fango. Sono un esperto di arenamento sui fango.

Iz

Apro il gas come se fossi sul mio vecchio Laverda e i 6 hp iniziano a ruggire portandomi alla massima velocità di sei nodi. Sfortuna nelle sfortune siamo all’apice della rotta e nel serbatoio non rimane molto, ma non ci penso nemmeno a fermarmi. Est e poi Sud Est prima che arrivi sono ridossato, poi però arriva e ci investe al traverso, 20/25 nodi, lieve pioggerella, ma il mare e piatto e non mi fa paura, le ragazze e la mamma sottocoperta a leggere, come sempre io devo raccogliere ansia per quattro e non darla nemmeno a vedere. Il vento aumenta, un paio di raffiche passano i 30 nodi, dietro di me un grosso cabinato avvolge l’ultimo scampolo di genoa e mi si accoda a motore, io sto puntando l’insenatura individuata prima, spero non mi segua perché non riuscirebbe nemmeno ad entrare nell’imboccatura. 35, il limite (soggettivo quantomeno) del mio barchino che si inclina fortemente, giro la prua verso il vento ormai all’imboccatura. Ancora 35, ma non di raffica costanti! No, non entro. Di nuovo verso sud, ma questa volta rasente la costa dove il vento è molto, ma molto meno, davanti a me un gozzetto naviga di conserva e a bordo sono palesemente tranquilli, mi conforta molto e mi rassereno anche io e, si rasserena anche il cielo, in pochi minuti è tutto blu senza nuvole e il vento cala a valori gestibili.

Ormai però siamo qui, Sestrunj e compagne sono perse a nord, ci fermiamo a Iz Veli. Sul portolano dei Marinai di Terraferma il luogo è descritto da un amico che arma un trimarano: “entrando sulla destra c’è una piccola spiaggia dove e possibile dar fondo all’ancora in sicurezza e portare una cima a terra”, mi metto li. Non fosse che il posto è occupato da… un trimarano. Sposto la mia attenzione a sinistra, verso il marina, mi avvicino, ma un signore gentile mi dice, in italiano, che non hanno posti sotto i 10 metri. Cara Italia poi chiedetemi perché non navigo sulle sue coste?

Sul portolano: “in fondo si può ormeggiare alla banchina usando la propria ancora”, il posto è pieno salvo un piccolo tratto di circa 10 metri. Andiamo li. Valeria prepara l’ancora per poi filare la cima a poppa, faccio un paio di passaggi per individuare le linee d’ormeggio degli altri, paradossalmente la mia essendo leggera devo dare più calumo perché tenga e non voglio incasinare gli altri. Fondo e mentre mi avvicino dalla barca di fianco a dove sto accostando salta giù un tizio e con ampi gesti mi fa cenno di non avvicinarmi. “Se pensi di dirmi che il posto è prenotato puoi anche andare a prenderlo dove non batte il sole”, io entro e niente può fermarmi. Quando sono a 10 metri mi urla ancora, ma questa volta capisco, il posto è libero perché c’è uno scoglio, “quanto fondo?”, chiedo, “sarà un metro”, ne avanzo 70 cm! Su deriva e timone e accosto con il solo motore pronto ad alzare il piede se necessario. In realtà sarei potuto entrare anche con tutto giù.

Iz Veli è proprio bella, un vero paese con tutti i servizi (tranne il carburante), si può usare le docce del marina (non dicono niente), ci sono numerose konoba, un paio di ristoranti e due market ben forniti. Scendo a fare due passi, non è vero scendo e vado a vedere il trimarano, sarebbe curioso se fosse veramente lui. Nemmeno 100 metri e da dietro sento una voce che chiama: “ehi quella maglietta la conosco”, ho indossato apposta la Tshirt del Velaraid organizzato dal suo circolo. Così alle 11 del mattino ci ritroviamo seduti a sorseggiare una birra chiacchierando della loro vacanza ormai al termine e della nostra agli inizi. Fatti piacevoli, ma non quanto le informazioni che mi da, sopratutto su una konoba un po’ all’interno, molto meno cara e molto più buona. Indovinate dove abbiamo cenato? Cevapji per le signore e una montagna di Calamari alla griglia per me e birra come se non avessi il fegato il tutto per la spropositata somma di 300 kune che al cambio fanno 40 euro.

Unica nota dolente la mancanza di un luogo decente dove fare un bagno.

Mattina presto. Colazione al bar dove c’è il wifi per avere un aggiornamento meteo dopo lo “scherzo” del giorno prima e poi via verso sud. Obiettivo Pasman se costa est o ovest lo deciderà il vento.
Appena usciti issiamo la randa e il gennaker e scendiamo a farfalla con una bava di vento che ci spinge appena, a tratti anche a meno di due nodi, ma ho tutto il giorno per fare 7 miglia quindi non esiste il problema. Puntiamo lo stretto fra Ugljan e Pasman poi si vedrà. Prima come detto a farfalla poi, con il calare del vento tirando bordi per fare un po’ di apparente, fino a quasi mezzogiorno quando il vento ci molla del tutto. Motore e decisione presa, si passa per lo stretto così da avere più ridossi per il pomeriggio e la sera, magari andare perfino a Zara, o a Sukosan così per il gusto dell’orrido.

Ci infiliamo nello stretto a motore, ma già il vento sta tornando, ormai la decisione è presa e la voglia di tornare indietro riaffrontando i pazzi che transitano in quel budello con una corrente fortissima non mi va. Usciamo e ridiamo vela, solo il fiocco perché nel frattempo ha rinforzato fin sopra i 10 nodi e non abbiamo comunque fretta. Niente Zara e Sukosan, si punta su uno dei vari porticcioli della costa di Pasman. Inutile che li cercate il portolano ve li indica come inaccessibili, ma per noi sono degli ottimi approdi.

Scendiamo veloci, davanti a noi scorrono i vari approdi possibili, ad alcuni ci avviciniamo per dare un’occhiata, ma vuoi l’ora vuoi la voglia di veleggiare sembrano tutti poco appetibili. Mrljane è carino, ma un po’ esposto al maestrale, lo terremo presente per il futuro intanto scendiamo verso Pasma paese che conosco e so che è ben ridossato, inoltre c’è un bar proprio sul molo. Ci arriviamo per l’ora di pranzo ed entriamo con la sicurezza di chi conosce, parabordi già fuori, cime di ormeggio, figlia a prua. Vi ho già detto che è ridossato? Infatti è pieno. Usciamo e risaliamo di qualche centinaio di metri verso la baia prima del paese, ci sono dei pontili, il fondo è di sabbia, bassa tanto da poter camminare e portare la barca a riva, ma anche qui tutto è stato “colonizzato”.
di nuovo verso sud a cercare ridosso fra le isolette davanti a Biograd che ben conosco sin dalla prima avventura e qui ormai un po’ stanchi diamo fondo in 2 metri d’acqua riparati dalle onde anche se non dal vento.

Pranzo frugale. Un paio di chili di burek untissimo e qualche hotdog che qui vendono in panetteria e poi pisolo mentre le ragazze si tuffano a ripetizione calpestandomi per andare da poppa, scaletta, a prua, delfiniera. Pisolo aspettando che il vento cali e che Pasman si svuoti per andare a passarci la notte.

Ma il vento non cala, anzi rinforza, siamo di nuovo sui venti nodi e io e i miei parabordi siamo ancora segnati dalla notte di Dumboka, ne faccio un punto d’onore di non ripetere l’esperienza. Zaplovika, 4 miglia a sud, riparata da qualsiasi cosa, Biograd, 2 miglia a est, riparato ma caro, Sveti Filip me lo indica il portolano, non ci sono mai stato ed è aperto a nord. Zaplovika. Su l’ancora fuori il fiocco e via verso sud. ETA un’ora, mentre scendiamo passiamo davanti a Tkon dove ci fermammo tre anni fa dormendo con un odore di pesce marcio da far vomitare, ci avviciniamo e a 500 metri dall’imboccatura l’odore ci investe di nuovo, cosa sia non lo so, ma è incredibile.

Arriviamo alla “nostra” baia e entriamo con l’intenzione di incastrarci in un angolino per passarci una o, visto l’anticipo, due notti. Pieno, ma proprio pieno pieno pieno, sono già le 4 e nessuno dei “giornalieri” se ne è ancora andato, o chissà cos’era prima. Faccio qualche giro guardandomi intorno cercando un angolo libero, gli unici sono dove l’ancora non tiene. Fanculo. Altre 2 miglia e sono a Vrgada, campo boe e, volendo, ancora in due metri d’acqua. Fuori e ancora a sud. Vrgada è una bellissima isola, con un bel porticciolo purtroppo sempre occupato con un unico posto libero solo dalle dieci di sera dove ormeggia il traghetto, davanti al porto c’è un isolotto e attorno a questo una trentina di gavitelli di cui due o tre molto sotto costa e disdegnati dai barconi, di solito li trovo liberi, così è anche questa volta. Ci fermiamo però solo per il bagno perché anche qui si balla parecchio e alla fine quando comincia a far buio entriamo a Drage stanchi ma soddisfatti della lunga giornata di vela per un totale di circa 30 miglia.

Domani rimarremo in zona, perché fra due giorni inizia una serie di temporali e sappiamo che io li adoro.

Piove, anzi no, ma ci sono dei nuvoloni nei laggiù infondo, tanto basta sfruttiamo questa mostra doppia condizione di marinai, ma di terraferma e andiamo fare un giro a Biograd, spesa, centro commerciale, poi da passi in centro. Ovviamente sotto un sole che spacca le pietre.

Domani fanculo a tutti usciamo in barca, infatti l’indomani siamo sotto il diluvio universale. Zara allora al megacentro commerciale così ci abituiamo al costruendo Arese Shopping Center, il più grande centro commerciale d’Europa, 105 ettari di consumismo (fate conto che Orio al Serio è 35). Visitiamo tutti i negozi uno per uno, per chi ha moglie e due figlie sa cosa significa, significa tutti, ma proprio tutti i negozi compreso quello che vende materassi. Ma se Dio vuole finiscono e possiamo riprendere l’auto per fare quello che piace a me, infilarmi nelle stradine all’interno alla ricerca di posti curiosi. Evitando se possibile le mine, non riusciamo invece ad evitare i segni della guerra che qui sono ancora ben presenti nelle numerose case di Serbi abbandonate in tutta fretta e incredibilmente intoccate da chi vi vive intorno. Stradina per stradina, arrivano alla fine imbocchiamo una sterrata in mezzo ad una pineta scoprendo un incredibile castello medioevale che potrebbe essere tranquillamente nella Highland scozzesi.

Da qui proseguiamo per Benkovac anche questo un paesino medioevale, con annesso castello arroccato su una collina. Konoba Cevapji e si riparte con il cielo che sembra finalmente aprirsi.

E alla fine deve pur smettere di piovere. Possiamo programmare la seconda parte della crociera. Nel frattempo però ricevo un sms da un amico toscano; avete presente i discorsi da forum/chat/social? Quelli del: questa estate ci vediamo e passiamo qualche giorno insieme che poi non ci si riesce mai. Beh arrivano, sono in frontiera a Trieste. Velisti, un fantastico Bisso, ma anche canoisti e questa e la passione che si portano appresso, per la precisione sul tetto, obiettivo Pasman. Trasliamo tutto e li aspettiamo, intanto birretta al cerenghito e bagno ristoratore. Uno dei campeggi ha posizionato una “simil boa” di ligure memoria in mezzo alla baia e tutti i ragazzi della zona giocano tuffandosi da questo “coso” fatto di assi di tek che al mercato nero varranno 20.000 euro tenute a galla da tubi in PVC tipo fogna. Amo la Croazia, ma ancor più adoro ascoltare i discorsi fatti da una ventina di giovani di 5 o 6 nazionalità diverse, ovviamente in inglese, dialoghi che vanno dal fluente british di una incredibile ragazzina di 13 anni polacca inframmezzati dai timidi “au old are iu” della mia piccola.

Non sono nemmeno le quattro quando arrivano, 3 ore di viaggio per cui io ho impiegato quasi il doppio; alle volte mi chiedo se sta storia del carrellare non sia una fregatura.

Tanto siamo tutti insieme e anche se ci siamo visti, e di sfuggita, forse due volte a Boccadarno, ci sediamo davanti all’ennesima Pivo a chiacchierare dei tempi passati e delle necessità imminenti, prima fra tutte far rifornimento di Kune così li accompagno a Pakostane dove da sempre troviamo il cambio migliore, quest’anno 7,45 il più alto da quando questi “pistola” hanno iniziato il loro suicida… pardon percorso per entrare in Europa.

Fatto il cambio e il giretto nel ridente villaggio turistico si decide di terminare la serata dal cozzaro, una baracca, anche questa sempre meno baracca di anno in anno, in quel di Prosika un paese fantasma abbandonato dopo la deviazione della strada che lo ha tagliato fuori dalle rotte turistiche.

il cozzaro altro non è che un allevatore che a tempo perso se chiedi le cuoce anche. La prima volta che ci andammo aveva quattro tavoli sgangherati ci sedemmo, lui si avvicinò e ci disse “no mangiare”, io però già allora avevo imparato due parole magiche “školjka” e “pivo”, lui si allargo in un sorriso e dieci minuti dopo ci servì un vassoio di 11 kg di cozze in proporzione uguale con l’aglio, la pressione alta in Croazia non esiste, e una serie di birre gelate, con somma buona volontà trovò nel frigo anche alcune coca cole per i bambini.

Così anche questa volta è finita così, in più grazie all’evoluzione della specie abbiamo potuto aggiungervi un altra decina di chili di patate fritte, patate non gli stecchini prebolliti dei fastfood.

Mentre si cena si decide anche che l’indomani saranno nostri ospiti per una breve gita in barca. Chissà che non si riesca a convincere la signora che anche questo è possibile.

Sveglia presto, colazione e spesa per pranzo al mio solito bar e alla solita pekarna.
Il mio bar, che ha il wifi, fa dei cappuccini che in Italia ce li scordiamo, la signora essendo io italiano ha deciso che dovevo essere per forza un esperto e ogni mattina mi invitava a preparare insieme per trovare le giuste proporzioni fra caffè, latte e schiuma. Oggi fa il mio cappuccino perfetto, solo mio ovviamente e temo che non ne venda più a nessun altro. Caffè ristretto un goccio infinitesimo di latte e tanta tanta schiuma con un velo appena di cacao.

Torno in “porto” e trovo tutti pronti a partire, gli amici neofiti seguendo indicazioni dubbi e probabilità si sono caricati di materiale come degli sherpa e abituati al kayak hanno tutto in sacche stagne; scarpe perché si sa a vela i piedi vanno protetti, occhiali, guanti, e cappello.

Molliamo gli ormeggi e iniziamo a veleggiare verso Vrgada nostra meta designata, dopo pochi minuti sono a piedi nudi e pare più rilassati, anche se comincio a pensare che l’ansia sia data in gran parte dai racconti sui viko rovesciati e dispersi ogni dove. Vedendomi tranquillo, anzi vedendomi preparare anche il code0 si tranquillizzano ulteriormente.

Passano si e no due ore e siamo all’obiettivo, un vero peccato perché c’è un bel venticello e allora si prosegue, Vikolocorto praticamente da solo punta verso Zaplovika e quindi andiamo li. Più tranquillo e ridossato, a patto di trovar posto. Posto che troviamo proprio nell’angolo migliore senza pensarci e prima che qualche agile gommone si infili fregandocelo diamo fondo all’ancora e arretriamo fino ad avere poco più di un metro di fondo, a quel punto scendo e aggancio la mia linea speciale: poliestere impiombato con catena finale ad uno scoglio della riva. Tutti in acqua a sguazzare fino a pranzo e anche dopo fino all’imbrunire quando come per magia ci ritroviamo praticamente soli nella baia, giusto due motoscafi e una vela alle boe il resto deserto.
Lancio la propostona, se si cenasse qui per rientrare in notturna? Detto fatto vado a nuoto alla konoba per vedere se c’è posto e ci spostiamo barca e tutto al pontile. Cena presto e rientro senza luci. No non è vero, siamo senza luci di via, ma con il motore acceso riesco ad alimentare un neon, siamo quindi la barca meglio segnalata dell’intera zona e anche quella meno ubriaca, perché tornando incrociamo le flottiglie dei charter che rientrano a Biograd, sabato è “charter day”, un’esperienza simile ai fuochi di artificio di Laveno alla fine dei quali lo sport più praticato è la collisione. Scampati a questo pericolo ci ritroviamo in mezzo alla flotta dei pescatori, è luna nuova e si vede che un buon momento fatto sta che la baia è disseminata di gusci di noce che quando gli sei quasi addosso ti piantano un faro contro per segnalare la loro presenza. Comunque arriviamo a destinazione sani e salvi.

Il giorno dopo ci salutiamo con una nuova avventura da raccontare.

Torniamo alla crociera. Per la seconda parte si è deciso di visitare Kornat, sono 6 anni che veniamo in Croazia, la metà alle Incoronate e non si è mai andati all’isola che da il nome all’arcipelago. Necessità rimediare.
Programma meteo non perfetto, ma sfruttando un buco di vento il terzo giorno per tornare sul continente e girando in senso orario dovremmo farcela in tre giorni, con calma e visitando bene parecchie insenature e ristoranti. Si perché tra i consigli degli amici le migliori konoba sono qui, pare anzi che il ristorante da Ante non sia assolutamente da perdere.
Spesa quindi, questa volta calamari per la grigliata del primo giorno, e poi via verso Katina, passaggio obbligato per entrare nel parco.

Il mare è un olio, nemmeno una traccia di vento, andiamo quindi a motore, ma lentamente perché fiduciosi nelle previsioni ci aspettavamo 4/6 nodi di maestrale che contavamo di risalire di bolina, invece niente. 3 nodi con il motore che borbotta piano per tentare il record di scendere sotto al mezzo litro per ora tenuto fino ad oggi, arriviamo alla nostra insenatura, quella degli scogli e dei bassifondi e li ci fermiamo per pranzo. C’è solo un motoscafo e ci ormeggiamo ben lontani e sottovento a lui, voglio grigliare e non mi va di dar fastidio. Tanto calumo per star tranquilli e bagnetto, alle 11,30 accendo la carbonella e preparo i “lignja” alla maniera croata, affogati nell’aglio. Mentre griglio un gommone di italiani mi ronza intorno, gli faccio notare che ci sono persone in acqua e così si allontana… a cercare la mia ancora presumo perché vi si ferma proprio sopra. Pazienza, ritorno al mio chilo di calamari, il carbone è perfettamente grigio e comincio a buttar su. Mentre le ragazze si asciugano e Cinzia prepara il melone onnipresente, qui sempre fantastici. Mangiamo con calma sperando che il gommone si tolga dai piedi, ma non c’è niente da fare alle 3 è ancora li e nel frattempo il venticello è arrivato. In modalità sborone maximo isso la randa e mi tonneggio verso la mia ancora arrivandogli a pochi centimetri lo scosto con un piede arrivando a sollevare la mia ancora, quello non fa una piega, mi guarda semplicemente basito finche non mi sono allontanato e poi torna a giocare con il sui ipad.

Katina è un’isola artificiale nel senso che nei tempi antichi era collegata a Dugi e il passaggio era solo a sud, Proversa Vela (il passaggio grande a nord) è stato scavato in tempi recenti, vi sono le boe di segnalazione e vi passano tutti: barconi, megayacht e pescherecci, ci siamo passati anche noi perché Porversa Mala è al solito indicato sul portolano come difficile e con presenza di bassifondi. Questa volta però passiamo a sud. Studiamo il portolano e le carte, l’avvicinamento è semplice poi ci sono quattro miragli bianchi da allineare per trovare il canale che ha fondali intorno ai due metri. Ci avviciniamo a vela, ma quando il fondo sale a meno di 10 metri, la Croazia è comunque tutta poco profonda, mettiamo prua al vento e ammainiamo. Punto a motore il primo miraglio bianco e quando ce l’ho al traverso viro lungo l’allineamento. Il fondo non è mai andato a meno di tre metri, la prossima volta passo a vela!

Subito dopo il passaggio troviamo una triste realtà che ci accompagnerà per tutta la discesa o quasi: Kornat è l’isola dei ricchi, dei megayacht, perché non lo so, ma tanté è così. Però c’è vento Bora invece di Maestrale e bella forte perfetta per tenere una buona velocità con il solo fiocco al traverso vogliamo arrivare a Vrluje, dove c’è Ante, e sono solo sei miglia tanto vale prendersela comoda. Scendiamo carta alla mano nel dedalo di isole sconosciute seguendo in parte la rotta di chi ci precede, ma comunque attenti ai numerosi bassifondi e scogli affioranti. Passiamo lo stretto di Bele Lucide che sul portolano è indicato come pericoloso per l’effetto venturi concentrati su questo ci perdiamo la fortezza medioevale sull’altura a sinistra e guardiamo appena una bella chiesetta sul mare poco dopo. Ci perdiamo anche l’arrivo da poppa di un bestione nero lucente di cui mi accorgo quando è a meno di 50 metri, troppo tardi per venire al vento, troppo tardi per tutto prendiamo le sue onde al traverso, santo Vikolcorto mettiamo tutte e due le falchette in acqua ma siamo comunque indenni.

Ancora poco e a sinistra si apre la baia che la nostra meta, via il fiocco e accendiamo il motore, nel frattempo il vento è rinforzato parecchio, sgancio anche i fermi del fuoribordo per poterlo brandeggiare e mi infilo. L’insenatura non è stretta, ma il Viko è una saponetta e sente il vento sulle fiancate paradossale, ma è più difficile da manovrare di un Comet 43; con il motore che può ruotare invece è tutta un’altra cosa, un po’ come avere il bowtrust. C’è qualche boa libera, ma noi senza tender tendiamo ad evitarle, ci avviciniamo al paesino sul fondo del fiordo dove si vedono un paio di konoba e anche dei mandracchi invitanti. Vedo Ante, vedo un ormeggiatore che mi solleva una trappa, abbiamo già cime a parabordi pronti posso avvicinarmi ed ormeggiare. In realtà ci vuole un po’ perché la trappa è troppo corta e quando me la passa mi ritrovo con il testimone in mano, ma alla gomena mancano ancora almeno cinque metri, segno che qui di solito ci vanno barche grosse, segno che… La soluzione è semplice e palese, mentre Cinzia mi tiene al vicino mi tuffo e lego una mia cima allungando la trappa.

Vrulje è palesemente un paese finto, cammino fra le case “leccate” e i banchetti con grappe e marmellate in vendita, in una konoba sul retro incontro anche una signora a cui chiedo se possiamo mangiare li, Ante preoccupa il mio portafoglio, ma mi risponde che fanno solo i pranzi per i barconi dei turisti, mi immagino le orde sbarcate a curiosare per 20 minuti, ingozzati di prodotti tipici e poi reimbarcati satolli per la prossima meta. Niente da fare ci tocca Ante, per lo meno cercherò di seguire i consigli degli amici, se devo pagare almeno che sia per qualcosa di eccellente.

Vrulje

Dopo il bagno e la doccia chiedo al cameriere se posso scegliere il pesce per cena, all’inizio mormora un po’, ma io insisto e mi fa scegliere. 2 kg di vongole come antipasto, a seguire 700 gr di orata, 20 scampi e patate al forno e fritte; non hanno la palacinka che le mie figlie adorano, ma dolci elaborati, altro segnale…
Siamo stanchi e ci sediamo a tavola presto, siamo anche assetati così prima ancora di ordinare partono tre medie, il rapporto 2:1 è standard con mia moglie.
Alle 19,30 puntuale ci vengono servite le vongole in guazzetto, in effetti fantastiche, anzi superlative, un gusco molto grosso e spesso con un mollusco carnoso e saporito, anche l’aglio è nelle giuste proporzioni, con la terza media finisco il guazzetto a botte di pane (freschissimo come cavolo fanno a 30 miglia dal primo paese), a seguire la grigliata, quarta media e il dolce mentre per me caffè. Totale 1050 kune, 35 euro a cranio, forse non tanto in Italia e/o considerando dove siamo, ma mi ero abituato ai 15/20 euro.

Notte tranquilla, ma domani ce ne andiamo!
Rotta sud, già di primo mattino la bora soffia gagliarda dobbiamo percorrere una decina di miglia tranquille ridossato dall’isola e poi uscire in mare “aperto” per raggiungere Murter, ma questo domani questa sera ci fermiamo ancora ridossati. Scendiamo tranquilli superati da numerose barche e incrociandone molte, molte di più. L’idea è entrare a Lavsa, altro posto raccomandato, e passare li la notte, ma questa bora in luogo del maestrale e già di prima mattina mi preoccupa. Il maestrale molla di notte e sale piano piano durante la giornata la bora no. Entriamo effettivamente a Lavsa, ma con noi entra anche il vento e il posto non è per nulla ridossato, le poche barche alla boa sono sballottate, fuori quindi per puntare più a sud la baia di Opat, altro poco purtroppo piuttosto fighetto. Anche qui entriamo a vedere e non ci piace per nulla, il vallone fa scendere raffiche fortissime, non c’è onda, ma il pensiero di passarci la notte all’ancora mi disturba parecchio. Fuori anche di qui e prima di prendere una decisione ovvia commetto il mio secondo errore della vacanza: uscire dalla punta sud di Kornat per “vedere com’è il mare”. Appena scapolata la punta incrocio un Bavaria 39 che entra con solo un fazzoletto a prua, al timone un tizio con il salvagente indossato e nessun altro in coperta. Giro immediatamente la barca, avrò percorso 200 metri, per rientrare e un’onda mi agguanta al traverso sdraiandomi, la deriva da un colpo fortissimo alla scassa tanto che temo di averla spezzata da come il vento mi fa strapoggiare mettendomi con la poppa alle onde, la seconda onda è al giardinetto, metto a manetta il motore e controllandola con il timone la cavalco per un tempo interminabile fino a che il motore non esce e inizia a cavitare, altro colpo fortissimo della deriva (si vede che c’è) e siamo nel cavo dell’onda, l’elica agguanta nuovamente e rimaniamo con la poppa nel cavo e lo scafo che tenta di risalire ciò che è appena passato. 2 onde, 100/200 metri, ma sono stati un tempo infinito.

Forse sono troppo apprensivo, forse aver a bordo le ragazze, mi rende apprensivo. Fatto sta che mi sono proprio spaventato.
Di li non si esce, ne oggi, ne domani, forse mai. Torno a puntare verso nord con l’idea di raggiungere se possibile Telascika imbarcare la famiglia su un barcone delle gite e riportare la barca da solo. Per venderla.

Così con questi pensieri ripercorro il primo mezzo miglio, il mare si calma nuovamente e il mio cuore riprende a battere normale. Abbiamo sempre venti nodi al traverso/bolina, ma procediamo a 4 nodi perché il motore continua ad urlare, me ne rendo conto e lo riporto al suo regime normale. Anche la famiglia si è spaventata, ma più per la mia faccia che per un reale pericolo, da sotto coperta pare che tutto sto trambusto non sia stato percepito non si sono nemmeno accorti della prima onda che ci è salita in coperta. Parlo con loro della probabilità di dover risalire nuovamente tutta l’isola e non paiono per nulla preoccupati, la discesa è stata divertente, lo sarà anche tornare, anzi alla fin fine spegniamo il motore e con il fiocco, poi abbiamo anche issato la randa con due mani, risaliamo più veloci di come siamo scesi. Arriviamo al castello medioevale che questa volta gustiamo in tutta la sua bellezza, poco più che una torre crollata in realtà, ma segno indelebile della dominazione veneziana di questo luoghi, passiamo lo strettto di “venturi” con due bordi perfino divertenti.

Kravljacica

Però si sta facendo pomeriggio e anche se si è mangiato navigando, patatine e salame non avendo altro di freddo, dobbiamo trovare dove fermarci. Vrulje nemmeno a pensarlo, Lucica forse sembra un bel posto, ma entrandoci è anche strapiena essendo l’unico posto ridossato, alla fine vediamo sulla mappa un paesino sulla destra poco prima dello stretto, ammainiamo la randa e torniamo indietro. Kravljacica è un paesino vero, 10 case la metà di villeggianti, non ci sono le bancarelle non c’è pare nemmeno una konoba, ma ci sono delle boe e in fondo un mandracchio veramente invitante. Prepariamo i parabordi e le cime lunghe per l’ormeggio e faccio un primo passaggio. Fondo abbondante, ma dentro non si sa mai, il molo di soprpaflutto pare verticale e accosto con la prua facendo scendere Valeria con una cima in mano mentre io arretro tenendomi discosto, c’è fondo e può tirarmi dentro. Ci accostiamo all’inglese fermiamo la barca velocemente e vedendo un paio di ragazzi in una casa vicina vado a chiedere se possiamo stare li. Gentilissimi in un ottimo inglese, sono guardie del parco, non solo mi dicono che posso rimanere, ma che sul muro ci sono anche due trappe così posso ormeggiarmi con più sicurezza, ogni tanto li si ferma un gozzo e per correttezza è meglio se vado a chiedere a “quella signora la” indicandomela con il dito. Vado.

“da li možemo pristati ovdje?” è la frase che mi sono scritto senza per altro saperla pronunciare, eventualmente aggiungo “da li je slobodno ovdje?”. La signora mi risponde ovviamente in croato, ma io sono in grado di ordinare una cena non di intrattenere un discorso, le chiedo s parla inglese, lei mi chiede se parlo francese alla fine arriviamo ad una buona soluzione, lei ha sposato cinquant’anni fa un italiano e se io parlassi quella lingua ci dovremmo capire. Ammetto che il veneto stretto è in alcuni momento più difficile del croato, ma riusciamo ad intenderci. Passeremo la notte in quel posto idilliaco.

Non rimane che tirarci fuori con una delle trappe, ad un controllo sul fondo la gomena da 7 cm di diametro a cui mi attacco risulta fissata ad un corpo morto da portaerei, sicuramente un altro residuato di Tito, e di trovare una birra fresca mentre le ragazze sguazzano. La signora di prima non può offrirmela e nemmeno vendermela, le spiace molto, ma andrebbe in concorrenza con la konoba che c’è 50 metri più in la. Ditelo!

Seguendo il sentiero raggiungo i tavoli invitanti e mi siedo guardando il panorama.

Il posto è fantastico l’ho già detto, ma lo ripeto perché deve essere ben chiaro. Acqua cristallina, ormeggio sicuro, la solita signora mi ha anche detto che non va bene per lo scirocco, ma di non preoccuparsi per questa notte.
Diciamocelo, forse la barca non la vendo.

Ma c’è di più, anche se dopo la sera prima sono un po’ sconfortato e le kune rimaste non sono molte il luogo è esternamente accogliente, tavoli affacciati sul mare e sedie imbottite, unite ad un’improbabile cucina all’aperto. Chiedo, chiedere non costa nulla.

Hanno dei merluzzi, qualche orata un dentice, patate, cavolo e pomodori. Il pesce costa 300 kune al chilo, 250 se due chili, 200 se tre chili, … il resto compreso escluso il bere.

Due chili mi dico basterebbero e con la birra non passiamo comunque i 70/80 euro euro; facciamo 80 con la palacinka. Andata per le 19,30, chiamo via radio Cinzia e comunico la decisione.

La mattina il vento ci ha lasciato, ha soffiato tutta notte, ma ormeggiato con le mie cime nuove e ad un trappa enorme ho dormito come non mai. Mi sono alzato comunque molto presto, l’alba è ancora lontana, ma la sensazione di pace mi pervade. Anche un po’ l’aria in effetti, mi metto la giacca e scendo a fare due passi. Il paese è addormentato non si muove una foglia, tutto è uguale nel porto dondolano due gommoni dei guardiani del parco, mi viene in mente che nessuno mi ha ancora chiesto di pagare l’ingresso. Pace, dopo questa avventura il parco ha un debito con me.

Torno alla barca accendo il motore, sfilo le cime a terra e il peso della trappa mi allontana dal molo, saluto a che questa e lasciando il pilota alla guida passo fra le barche alla fonda ancora con le luci notturne accese.
Anche in barca tutti dormono, che rotta prendere? Sud visto la piatta, non faccio fregare e svolto verso nord, Telascika questa sera e poi domani a Drage ci aspetta la gru.

Il rumore del motore non sveglia la famiglia, mi lego e proseguo solo con il mio succo d’arancia e i biscotti ai fichi. Poche miglia ci separano dall’obiettivo, forse troppo poche e poi domani devo disarmare, dai finiamola qui. Passo Katina anche questa volta a sud e metto la prua verso il porto, il sole è già alto quando le signore fanno capolino dalle cuccette c’è un bel venticello giusto in poppa, tanto vale spegnere e lasciar fare al gennaker e il pilota, tra tutti e die la strada la sanno. A mezzogiorno siamo a “casa”.
Ultimo giorno, la gru arriva domani alle otto, dobbiamo smontare tutto, non prima però di un’ultimissima veleggiata verso Vela Luka, una bella baia a poco più di un miglio a sud.

Le figlie crescono, forse questa sarà l’ultima volta che vorranno seguirmi in queste mie follie.

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